Il Cavolfiore della Piana del Sele:
dalla terra al marchio IGP
Il cavolfiore è un vero e proprio elisir di benessere:
Il cavolfiore è un esempio perfetto di come la saggezza popolare, tramandata nei secoli, abbia saputo individuare gli alimenti più preziosi per la nostra salute.
Se c’è un ortaggio che ha saputo attraversare i secoli con resilienza e versatilità, è senza dubbio il cavolfiore. Il suo nome scientifico, “Brassica oleracea var. botrytis”, lo colloca all’interno della famiglia delle Brassicaceae, la stessa di cavoli, broccoli, cavolini di Bruxelles e cavolo cappuccio. La sua caratteristica infiorescenza compatta e carnosa, oltre a essere la parte edibile della pianta, è un concentrato di gusto e proprietà benefiche.
Dietro la sua apparente semplicità si cela un ortaggio straordinario, capace di adattarsi a culture e tradizioni culinarie diverse. Dalla cucina contadina alle tavole aristocratiche medievali, fino alla gastronomia più raffinata dei giorni nostri, il cavolfiore ha saputo reinventarsi, mantenendo intatta la sua essenza. Non è un caso che la Piana del Sele, una delle aree più fertili d’Italia, lo abbia elevato a prodotto IGP, simbolo di qualità, tradizione e legame con il territorio.
Ma cosa rende il cavolfiore così speciale? La sua storia è affascinante, fatta di leggende, rimedi naturali e un ruolo di primo piano nella dieta di epoche lontane.
Il cavolfiore ha origini antichissime: già noto ai Greci e ai Romani, era considerato non solo un alimento nutriente, ma anche un potente alleato della salute. Catone il Vecchio – politico, generale e scrittore romano (149 a.C.) – lo raccomandava come rimedio contro ogni male, attribuendogli persino virtù curative contro le ubriacature. Non a caso, ben due capitoli del suo “De agri cultura” sono dedicati alla coltivazione del cavolo, che egli considerava la “verdura-principe”. Consigliava di consumarlo sia cotto sia crudo, dopo averlo fatto macerare nell’aceto, esaltandone le proprietà purgative, diuretiche e la facile digeribilità. Per Catone, il cavolo era una vera panacea universale, in particolare nella sua varietà pitagorica e in quella a foglie arricciate (apiaca), ritenuta utile per curare lussazioni, eritemi, ulcere e problemi legati al travaso di bile. La sua conoscenza, tuttavia, non si basava solo sull’esperienza romana, ma attingeva senza dubbio anche alla medicina greca.
Anche Plinio il Vecchio ricorda come i Greci utilizzassero il cavolo per contrastare l’ubriachezza e cita il medico Crisippo, autore di un intero trattato dedicato alle virtù terapeutiche di questo ortaggio. Columella, invece, menziona ben quindici varietà di cavolo e suggerisce un curioso metodo per migliorarne la consistenza e il colore: avvolgere la pianta in tre piccole strisce di alghe durante la crescita, così da renderla più tenera in cottura e preservarne il verde brillante, senza dover ricorrere al nitro per ravvivarne la tonalità.
Nel Medioevo, il cavolfiore divenne la base dell’alimentazione contadina in tutta Europa. Coltivabile anche nei mesi più freddi e facile da conservare, era ingrediente principe di zuppe e stufati. I monaci benedettini, veri custodi del sapere agricolo, ne perfezionarono la coltivazione nei loro orti, favorendone la diffusione su larga scala.